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Categoria: sistemisti (Pagina 2 di 2)

Quando i sistemisti dominarono la terra [1]

Introduzione: Della stessa pasta delle storie della sala macchine di Davide Bianchi, una altro racconto che porterà molti studenti di informatica a tentare la via del SysAdmin. Questa è dichiaratamente fantastica ma con un ironia di fondo molto simile. Leggete e divertitevi.

Quando i sistemisti dominarono la terra
di Cory Doctorow
Traduzione di Stefano Bonora
Via Buforana

Prima parte

Quando il telefono speciale di Felix squillò alle due di notte, Kelly, rigirandosi, gli tirò un pugno sulla spalla, per poi sibilargli: “Perché non spegni mai quel cazzo di coso prima di andare a letto?”

“Perché devo essere reperibile.” rispose.

“Non sei un cazzo di dottore,” disse lei, tirandogli un calcio. Nel frattempo Felix si era seduto sul bordo del letto per infilarsi i calzoni che aveva lasciato sul pavimento appena prima di andare a dormire. “Sei un dannato sistemista.”

“È il mio lavoro,” disse lui.

“Ti sfruttano come una bestia da soma,” disse lei. “E lo sai che ho ragione. Per amor del cielo, sei un padre di famiglia ora, non puoi metterti a correre nel mezzo della notte ogni volta che qualcuno non riesce a scaricarsi i porno. Non rispondere a quel telefono.”

Felix sapeva che lei aveva ragione. Rispose al telefono.

“I router principali non rispondono. Il BGP non risponde.” Visto che alla voce meccanica del sistema di controllo gli insulti non facevano alcun effetto , la insultò, e questo lo fece sentire un poco meglio.

“Forse riesco a sistemarlo da qui,” disse. Poteva collegarsi all’UPS del rack e riavviare i router. L’UPS stava in un segmento di rete differente, con router indipendenti e sistemi di alimentazione di emergenza separati.

Kelly sedeva sul letto, una forma indistinta contro la testata. “In cinque anni di matrimonio non sei mai riuscito a sistemare niente da qui.”

Questa volta aveva torto – sistemava le cose da remoto continuamente, ma con discrezione e senza farne drammi, ed era per questo che lei non se ne ricordava. Ma allo stesso tempo aveva anche ragione – dai log si vedeva chiaramente che dopo l’una di notte niente poteva essere più sistemato senza prendere la macchina e andare fino al rack. Era la Legge della Malvagità Universale, conosciuta anche come la Legge di Felix.

Cinque minuti dopo Felix era al volante. Non era riuscito a sistemarlo da casa. Anche la rete dei router indipendenti era giù. L’ultima volta che accadde fu perché un muratore rimbecillito aveva tranciato con la macchina scava-fosse il principale condotto dati del data-center. Per una settimana Felix si era unito allo squadrone di cinquanta furiosi amministratori di sistema, in piedi davanti alla buca ad insultare quei poveracci costretti a lavorare giorno e notte per ricollegare tra loro diecimila cavi spezzati.

Il telefono suonò altre due volte mentre era in macchina, e lui lasciò che la voce automatica sovrastasse l’autoradio e recitasse il malfunzionamento di altre infrastrutture di rete dagli altoparlanti. Poi chiamò Kelly.

“Ciao,” disse lui.

“Non fare il ruffiano. Guarda che dalla voce si sente.”

Sorrise involontariamente. “Ma no, ho controllato, nessuna ruffianeria.”

“Ti amo, Felix,” disse lei.

“E io sono completamente pazzo di te, Kelly. Torna a letto.”

“Due punto zero è sveglio,” disse. Il bambino era in beta test quando stava nel suo grembo; quando le acque le si ruppero lui ricevette la chiamata e si precipitò fuori dall’ufficio gridando Stiamo andando in Gold! Cominciarono a chiamarlo 2.0 prima che smettesse di piangere il suo primo pianto. “Questo piccolo bastardo è nato per succhiare capezzoli.”

“Mi spiace di averti svegliata,” disse. Era quasi arrivato al data-center. Non c’è traffico alle due di notte. Rallentò e accostò prima dell’ingresso del garage. Non voleva far cadere la linea andando sottoterra.

“Non è perché mi hai svegliato,” disse lei. “Lavori lì da sette anni. Hai tre dipendenti che rispondono a te. Quel telefono devi darlo a loro. Tu hai già dato abbastanza.”

“Non mi va di chiedere di fare qualcosa che non sono disposto a fare anch’io,” disse.

“Ma tu l’hai già fatto,” disse lei. “Te lo chiedo per piacere. Odio svegliarmi e trovarmi sola. Di notte mi manchi tantissimo.”

“Kelly – ”

“Non sono più arrabbiata. Mi manchi e basta. Quando sei con me faccio bei sogni.”

“OK,” disse.

“Tutto qui?”

“Esatto. Tutto qui. Non voglio che tu abbia gli incubi e ho già dato abbastanza. Da ora in avanti farò le reperibilità notturne solo per coprire i periodi di ferie.”

Lei rise. “I sistemisti non vanno in ferie.”

“Il tuo ci andrà,” le disse. “Promesso.”

“Sei meraviglioso. Oddio, che schifo. 2.0 ha appena fatto un core dump sulla mia vestaglia.”

“E bravo il mio ragazzo.”

“Tutto suo padre,” disse lei. Riattaccò e Felix condusse la macchina fino al parcheggio del data-center, fece passare il tesserino e sollevò una stanca palpebra per permettere allo scanner di retine di dargli una bella guardata all’occhio assonnato.

Si fermò al distributore per prendersi una barretta energetica al guaranà-medafonil e del velenoso caffè da macchinetta. Sbranò la barretta e sorseggiò il caffè dalla tazza a prova di rovesciamento, quindi la porta interna gli lesse la forma della mano e lo misurò per un istante. Si aprì con un sospiro e una ventata di aria a pressione positiva lo investì quando infine riuscì a entrare nel sancta sanctorum.

Era un casino. I rack sono progettati per permettere a due o tre sistemisti di lavorarci attorno contemporaneamente. Ogni altro centimetro cubo è destinato alle ronzanti fila di server, router e dischi. Ma in quell’istante non erano meno di venti i sistemisti che si accalcavano attorno agli armadi. Formavano la prevedibile adunata di magliette nere dalle scritte incomprensibili e di pance cascanti sopra a cinture dalle quali pendevano telefonini e coltellini.

Di solito in sala server ci si congela, ma tutti quei corpi stavano surriscaldando il piccolo spazio chiuso. In cinque o sei alzarono lo sguardo e sorrisero quando Felix li oltrepassò. Due lo salutarono per nome. Infilò la pancia tra la calca e i rack, fino ad arrivare all’armadio della Ardent all’altro lato della stanza.

“Felix.” Era Van, che quella notte non era reperibile.

“Che ci fai qui?” disse Felix. “Non serve a nessuno se domani siamo entrambi in coma.”

“Come? Ah, no, la mia macchina personale è laggiù. È caduta attorno all’una e mezza e sono stato svegliato dal sistema di controllo. Avrei dovuto chiamarti per dirti che stavo venendo giù io, ti avrei risparmiato il viaggio.”

Il server personale di Felix – condiviso con altri cinque amici – stava in un armadio al piano di sotto. Si chiese se anche quello fosse offline.

“Che sta succedendo?”

“Un attacco massiccio di flashworm. Qualche stronzo ha fatto dei test Monte Carlo su tutti i blocchi di IP, inclusi gli IP versione 6 e si è preso tutte le macchine Windows della rete. Tutti i grossi Cisco hanno le interfacce di amministrazione su IPv6 e si inchiodano se ricevono più di 10 test simultanei, il che vuol dire che tutti i nodi di interscambio sono caduti. Anche il DNS è fottuto, come se qualcuno la scorsa notte avesse fatto zone poisoning. Ah, c’è anche un componente email e messenger che invia dei messaggi realistici ai contatti che si hanno in rubrica e riesce a sostenere in modo convincente dei semplici dialoghi in stile Eliza, per indurre le persone ad aprire un allegato con un virus.”

“Cazzo.”

“Già.” Van era un sistemista di tipo due, alto più di due metri, capelli raccolti in una lunga coda di cavallo, pomo d’adamo ballonzolante. Dal suo ampio petto la maglietta diceva SCEGLI LA TUA ARMA e mostrava una serie di dadi poliedrici da gioco di ruolo.

Felix era un sistemista di tipo uno, con una trentina di chili di troppo tutti distribuiti al centro e una barba piena e ordinata che cresceva sui suoi menti extra. La sua maglietta diceva HELLO CTHULHU e mostrava uno Cthulhu carino e senza bocca stile Hello Kitty. Van e Felix si conoscevano da quindici anni, essendosi incontrati prima in Usenet, poi di persona a Toronto per un raduno di Freenet a base di birra; in seguito si erano incontrati anche a una o due convention di Star Trek, fino a che Van fu assunto da Felix per lavorare con lui alla Ardent. Era affidabile e metodico. Avendo studiato da Ingegnere Elettrico teneva una serie di blocchi di carta nei quali annotava tutti i dettagli delle operazioni che svolgeva, completi di data e ora.

“Questa volta non è un PEBKAC,” disse Van. Problem Exists Between Keyboard and Chair1. I trojan2 mandati per posta rientrano in questa categoria – se le persone fossero abbastanza intelligenti da non aprire allegati sospetti, i trojan sarebbero una cosa del passato. Ma dei worm che si mangiano router Cisco non sono un problema legato agli utonti – sono un problema legato a ingegneri incompetenti.

“No, è colpa di Microsoft,” disse Felix. “Ogni volta che devo lavorare alle due di notte o è per un PEBKAC o è per colpa di Winzozz.”

Alla fine scollegarono semplicemente i dannati router dalla rete. Non fu Felix a farlo, ovviamente, anche se aveva una voglia matta di riavviarli dopo aver disabilitato le interfacce su IPv6. Fu una coppia di massicci Stronzissimi Sistemisti Infernali3 che per avere accesso al rack dovettero girare due chiavi contemporaneamente, come le guardie dei depositi missilistici. D’altra parte il 95% del traffico a lunga distanza canadese passava da questo edificio. La sicurezza doveva essere maggiore di quella di molti siti missilistici.

Felix e Van rimisero in funzione uno alla volta i computer della Ardent. Erano martellati dalle sonde degli worm – l’aver ripristinato i router aveva esposto agli attacchi i rack situati a valle. Ogni computer in Internet o stava affogando sommerso dagli worm o li stava diffondendo, o faceva entrambe le cose. Fu soltando dopo un centinaio circa di timeout che Felix riuscì a raggiungere NIST e Bugtraq e a scaricare un aggiornamento del kernel che avrebbe dovuto ridurre il carico che gli worm generavano sulle macchine in sua gestione. Erano le dieci di mattina, ed era tanto affamato da volersi mangiare le suole delle scarpe, ma ricompilò i suoi kernel e riportò le macchine online. Le lunghe dita di Van volavano sulla tastiera di amministrazione e la lingua gli sporgeva dalle labbra mentre lanciava su ciascun computer i programmi di diagnostica.

“Avevo duecento giorni di uptime su Greedo,” disse Van. Greedo era il server più vecchio dell’armadio, risaliva al tempo in cui battezzavano i computer secondo i personaggi di Star Wars. Poi erano passati ai Puffi e, visto che i Puffi erano finiti, avevano iniziato con i personaggi di McDonaldland: il primo era stato il portatile di Van, il Maggiore McCheese.

“Greedo sorgerà di nuovo,” disse Felix. “Ho un 486 giù da basso che ha oltre cinque anni di uptime. Mi si spezza il cuore doverlo riavviare.”

“Per che straminchia lo usi un 486?”

“Per niente. Ma come si fa a spegnere una macchina con cinque anni di uptime? È come staccare la spina a tua nonna.”

“Voglio andare a mangiare,” disse Van.

“Senti un po’. Che ne dici se rimettiamo in piedi il tuo computer, sistemiamo il mio e poi ti porto al Lakeview Lunch? Dopo che ci siamo fatti una pizza puoi prenderti il resto della giornata.”

“Ci sto,” disse Van. “Sei troppo buono con noi altre merdine. Dovresti buttarci in un pozzo e picchiarci come fanno gli altri capi. Ce lo meritiamo.”

“Ti suona il telefono,” disse Van. Felix si sollevò dalle interiora del 486: dopo averlo spento non c’era stato verso di riaccenderlo. Aveva anche scroccato un alimentatore di riserva da dei tizi, spammatori, che stavano cercando di rimettere in piedi la loro baracca. Lasciò che Van gli raccogliesse il cellulare e glie lo porgesse, gli era caduto dalla cintura mentre si contorceva per raggiungere il retro della macchina.

“Ehi, Kel,” disse. Si sentiva un rumore strano e al tempo stesso indecifrabile. Statica? 2.0 che faceva il bagnetto? “Kelly?”

La linea cadde. Cercò di richiamare, ma senza nessun risultato – né squilli né segreteria. Il telefono andò prima in timeout, poi mostrò ERRORE DI RETE sul display.

“Dannazione,” disse, ma senza astio. Riagganciò il telefono alla cintura. Kelly avrà voluto sapere quando sarebbe tornato a casa, oppure avrà voluto che passasse a comprare qualcosa. Avrebbe lasciato un messaggio in segreteria.

Stava testando l’alimentatore quando il cellulare squillò di nuovo. Lo afferrò e rispose. “Kelly, ehi, che succede?” Si sforzò per far sparire dalla voce ogni traccia di irritazione. Si sentiva in colpa: tecnicamente parlando, aveva terminato i suoi obblighi con la Ardent Financial LLC l’istante in cui i loro server erano tornati raggiungibili. Le ultime tre ore le aveva spese esclusivamente per scopi personali – anche se era intenzionato ad addebitarle ugualmente all’azienda.

C’erano dei singhiozzi al telefono.

“Kelly?” Sentì il sangue defluirgli dal viso, le dita dei piedi intorpidirsi.

“Felix,” disse lei, appena comprensibile tra i singhiozzi. “È morto, oh Cristo, è morto.”

“Chi? Chi, Kelly?”

“Will,” disse.

Will? pensò. E chi cazz – cadde in ginocchio. William era il nome che avevano scritto sul certificato di nascita, anche se l’avevano sempre chiamato 2.0 . Felix emise un suono angosci
ato, un latrato sofferente.

“Sto male,” disse lei. “Non riesco neppure a reggermi in piedi. Oh, Felix, ti amo tanto.”

“Kelly, che succede?”

“Tutti, tutti – “ disse lei. “Ci sono solo due canali in televisione. Madonna, Felix, fuori dalla finestra sembra l’alba dei morti viventi – “ La sentì vomitare. Il segnale cominciò a vacillare, e il telefono ripropose i suoi conati come se fosse un delay digitale.

“Kelly, non ti muovere!” gridò mentre cadeva la linea. Digitò il 911, ma il telefono mostrò ancora ERRORE DI RETE non appena ebbe premuto CHIAMA.

Strappò il Maggiore McCheese da Van, lo collegò al cavo di rete del 486 e lanciò Firefox dalla linea di comando, trovò con google il sito della Metro Police. Rapidamente, ma senza farsi prendere dal panico, cercò il modulo per le segnalazioni online. Felix non perdeva la testa, mai. Lui i problemi li risolveva, perdere la testa non serviva a risolvere niente.

Trovò il modulo e descrisse i dettagli della sua conversazione con Kelly come se stesse compilando un bug report: le sue dita erano veloci, la sua descrizione esauriente; poi premette INVIO.

Van aveva letto tutto da sopra la sua spalla. “Felix – “ cominciò.

“Dio,” disse Felix. Era seduto sul pavimento del rack; si rimise in piedi. Van riprese il portatile e tentò di visitare qualche sito di informazione, ma non ne rispondeva nessuno. Era impossibile capire se ciò era dovuto perché stava succedendo qualcosa di terribile o perché la rete zoppicava ancora per l’attacco del super worm.

“Devo andare a casa.” disse Felix.

“Ti accompagno,” disse Van. “Così mentre guido puoi provare ancora a chiamare tua moglie.”

Si fecero strada fino agli ascensori. Lì vi era una delle poche finestre dell’edificio, uno spesso oblò schermato. Ci guardarono attraverso mentre aspettavano l’ascensore. Non c’era molto traffico per essere mercoledì. C’erano forse più macchine della polizia del solito?

O mio Dio –“ indicò Van.

La torre CN, un’acuminata e gigantesca cattedrale nel deserto, incombeva a est. Era storta come un ramo piantato nella sabbia umida. Si muoveva? Sì. Si inclinava, accelerando lentamente, cadendo in direzione nordest, verso il quartiere finanziario. Dopo qualche istante oltrepassò il punto di non ritorno. Fu allora che crollò. Prima si avvertì la vibrazione, poi si fece udire il boato; l’intero edificio tremò per l’impatto. Una nuvola di polvere si sollevò dalle rovine, e ci furono altri schianti mentre l’edificio più grande del mondo travolgeva un palazzo dopo l’altro.

“Sta crollando il Broadcast Centre.” disse Van. Era vero – la torre della CBC stava collassando al rallentatore. La gente correva da tutte le parti e veniva schiacciata dai pezzi degli edifici che precipitavano. Visto attraverso l’oblò, era come guardare una demo di computer grafica scaricata da qualche sito di scambio file.

I sistemisti si ammassarono attorno a loro, sgomitando per assistere alla distruzione.

“Che è successo?” uno di loro chiese.

“È caduta la torre CN,” disse Felix. Il suono della sua voce suonava lontano alle sue stesse orecchie.

“È stato il virus?”

“Cosa? Il worm?” Felix guardò il tizio, un giovane amministratore con solo piccole maniglie da tipo-due attorno alla vita.

“Non il worm,” disse il tizio.” Mi è arrivata una mail che dice che la città è stata posta in quarantena per colpa di qualche virus. Armi biologiche, dicono.” Porse a Felix il proprio Blackberry.

Felix era talmente assorto nell’annuncio – inviato dal ministero della salute canadese, se si voleva credere a quello che c’era scritto – che non si accorse che tutte le luci si erano spente. Quando se ne rese conto ricacciò il Blackberry nella mano del proprietario ed emise un piccolo sospiro.

Citazione

“Se vi serve aiuto per il vostro computer con Linux, cercate un utente
di Slackware”, si legge su DistroWatch.com. “Un utente di Slackware ha
assai più probabilità di risolvere un problema di quante ne abbia un
utente di qualunque altra distribuzione”.

Punto-Informatico ( che a sua volta cita DistroWatch)

Mi piaceva …

Alla larga da x64

I 64bit sono un utopia. Il sogno di poter utilizzare piu di 4giga di ram su una workstation una mera illusione.
Il sistema operativo c’è. Ma i driver no. Ho litigato molto meno per installare Linux.

Il tuo hardware è vecchio ? Niente driver
Il tuo hardware è troppo “geek” ? Niente driver

Un odissea. Lunedi riformatto e metto Winzozz normale.

SIGH.

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