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Mese: Giugno 2007 (Pagina 1 di 2)

Quando i sistemisti dominarono la terra [3]

I newsgroup si stavano riempiendo velocemente. Erano stati annunciati in news.admin.net-abuse-email, dove bazzicavano tutti quelli impegnati alla lotta contro lo spam e dove da tempo si era sviluppato un forte cameratismo in risposta ad attacchi su larga scala.

I nuovi gruppi erano alt.november5-disaster.recovery e le diverse ramificazioni: .recovery.governace, .recovery.finance, .recovery.logistics e .recovery.defence. Sempre sia lodata l’incasinata gerarchia alt. e tutti quelli che la frequentano.

I sistemisti uscirono allo scoperto. Il Googleplex1 era online, e la valente Queen Kong teneva a bada il suo branco di galoppini su rollerblade che pattinavano per il gigantesco data-center, estraendo server defunti e premendo tasti di reset.

L’Internet Archive installato al Presidio2 era offline, ma il mirror ad Amsterdam funzionava ancora; dopo che modificarono il DNS praticamente non si notava nessuna differenza. Amazon era giù. Paypal era su. Blogger, Typepad e Livejournal erano tutti su e si stavano riempiendo di milioni di post di sopravvissuti spaventati che si stringevano l’un l’altro in cerca di calore elettronico.

Le gallerie fotografiche di Flickr erano terrificanti. Felix cancellò la sua iscrizione dopo che ebbe visto la foto di una donna e di un bambino morti in cucina, contorti dall’agente biologico come un agonizzante geroglifico. Non somigliavano a Kelly e a 2.0, ma non era necessario. Felix non riusciva comunque a smettere di tremare.

Wikipedia era su, ma faticava sotto carico. Le mail di spam arrivavano come se non fosse successo niente. Gli worm vagavano per la rete.

Il posto dove c’era il fermento maggiore era .recovery.logistics.

> Possiamo utilizzare il meccanismo di votazione dei newgroup per tenere le elezioni

Felix era certo che avrebbe funzionato. Il meccanismo di votazione usato su Usenet veniva utilizzato da più di venti anni e non aveva mai dimostrato difetti sostanziali.

> Eleggeremo rappresentanti regionali e loro sceglieranno un Primo Ministro

Gli americani insistevano per avere un Presidente, ma Felix non era d’accordo. Il titolo sembrava troppo fazioso. Il suo futuro non sarebbe stato un futuro americano. Quest’ultimo se ne era andato assieme alla Casa Bianca. Voleva che le prospettive fossero più ampie.

C’erano dei sistemisti francesi della France Telecom. Il datacenter della EBU era stato risparmiato dagli attacchi che avevano colpito Ginevra ed era pieno di sardonici tedeschi il cui inglese era migliore di quello di Felix. Andavano d’accordo con quello che rimaneva del team della BBC a Canary Wharf.

In .recovery.logistics parlavano un inglese poliglotta e Felix cavalcava l’onda. Alcuni degli amministratori stavano placando le stupide e inevitabili flame grazie alla pratica di lunghi anni. Alcuni intervenivano con utili consigli:

quelli che credevano che Felix si fosse bevuto il cervello erano sorprendentemente pochi.

> Credo che dovremmo tenere elezioni il prima possibile. Domani al più tardi.

> Non possiamo governare senza il consenso dei governati.

Entro pochi secondi gli arrivò la risposta nella casella di posta.

> Non puoi dire sul serio. Il consenso dei governati? A meno che

> non mi sfugga qualcosa, la maggior parte delle persone che ti

> proponi di governare è impegnata a vomitare le proprie budella,

> o a camminare in stato confusionario per le strade.

> Quando potranno votare LORO?

Felix dovette ammettere che aveva ragione. Queen Kong era perspicace. Non c’erano molte donne sistemiste, e questa era una vera tragedia. Non ci si poteva permettere che donne come Queen Kong rimanessero fuori dai giochi. Doveva inventarsi una soluzione per avere una sufficiente partecipazione femminile nel suo nuovo governo. Obbligare ogni regione a eleggere una donna per ogni uomo?

Si mise a dibattere piacevolmente con lei. Le elezioni le avrebbero tenute l’indomani; ci avrebbe pensato lui.

“Primo Ministro del Cyberspazio? Perché allora non ti fai chiamare Gran Funtone dello Spazio Dati Globale? È più altisonante, più figo e ha esattemente la stessa utilità.”

Will dormiva nello spazio accanto al suo, su nel bar, con Van dall’altro lato. La stanza puzzava come un cesso: venticinque sistemisti che non si lavavano da almeno un giorno erano tutti ammassati nella stessa stanza. Per alcuni di loro si trattava sicuramente di molto, molto più di un giorno.

“Sta’ zitto, Will,” disse Van. “Tu volevi spegnere Internet.”

“Ti devo correggere: io voglio spegnere Internet. Tempo presente.”

Felix socchiuse un occhio. Era talmente stanco che gli sembrava di sollevare dei pesi.

“Senti, Sario – se non sei d’accordo con il mio programma, presentane uno tuo. C’è un sacco di gente che crede che io stia sparando stronzate, e io li rispetto, visto che o sono candidati contro di me o supportano qualcuno che lo è. Sono queste le tue scelte. Quello che non è presente nel menù invece è lamentarsi di tutto e limitarsi a contestare. Ora dormi, o vai a scrivere il tuo programma.”

Alzatosi lentamente, Sario srotolò la giacca che usava come cuscino e la indossò.

“Andate a cagare, ragazzi. Me ne vado.”

“Credevo che sarebbe rimasto qui per sempre,” disse Felix rigirandosi. Rimase sveglio per molto tempo: pensava alle elezioni.

C’erano altri candidati. Alcuni di loro non erano nemmeno sistemisti. Un senatore americano rifugiato nella sua casa estiva nel Wyoming possedeva generatori di elettricità e un telefono satellitare. In qualche modo aveva trovato il newsgroup giusto e si era proposto. Degli hacker anarchici italiani bombardarono il newsgroup per tutta notte con sgrammaticati sproloqui circa la destituzione del “concetto di governo” nel mondo nuovo. Guardando il loro segmento di rete, Felix dedusse che erano pro
babilmente sepolti in un piccolo istituto di Progettazione Interattiva nei pressi di Torino. L’Italia era stata colpita molto duramente, ma questa cella di anarchici era riuscita a prendere residenza nel villaggio virtuale.

Un sorprendente numero di candidati aveva nel proprio programma lo spegnimento di Internet.

Felix aveva i suoi dubbi sul fatto che fosse possibile fare una cosa del genere, ma poteva capire l’impulso di portare a termine il lavoro e dire addio al mondo. Perché no?

Si addormentò mentre pensava alle eventuali azioni necessarie per spegnere Internet ed ebbe degli incubi nei quali era l’ultimo e solo difensore della rete.

Un suono ruvido e frusciante lo svegliò. Si rigirò e vide che Van si era messo a sedere, accovacciato, e intento a grattarsi vigorosamente le braccia magre. Erano ormai del colore della carne sotto sale e sembravano squamate. Illuminati dalla luce che entrava dalle finestre del bar, piccoli brandelli di pelle volteggiavano e danzavano in grandi nuvole.

“Cosa stai facendo?” Felix si mise seduto. Osservare le unghie di Van che graffiavano la pelle gli fece venire prurito per simpatia. Erano passati tre giorni da quando si era lavato i capelli per l’ultima volta e ogni tanto gli sembrava di avere in testa piccoli insetti intenti a scavargli la pelle per deporci le uova. La notte precedente si era toccato dietro le orecchie per sistemarsi gli occhiali; le sue dita erano rimaste lucide di denso sebo. Se non faceva la doccia per un paio di giorni dietro alle orecchie gli spuntavano punti neri, talvolta foruncoli giganti, che Kelly con un piacere perverso faceva scoppiare.

“Mi sto grattando,” disse Van. Cominciò a lavorarsi la testa, immettendo nell’aria una nuvola di forfora che andava ad aggiungersi alle schifezze che aveva già rimosso dalle estremità. “Dio, mi prude dappertutto.”

Felix prese il Maggiore McCheese dallo zainetto di Van e lo collegò a uno dei cavi ethernet che serpeggiavano lungo tutto il pavimento. Cercò in Google qualcosa che potesse essere collegata a questo. “Prurito” diede come risultato 40.600.000 link. Provò a effettuare ricerche composte e ottenne risultati più precisi.

“Credo che sia un eczema da stress,” disse infine Felix.

“No, non ho mai avuto eczemi,” disse Van.

Felix gli mostrò delle disgustose foto di pelli arrossate, irritate e bianco-squamate. “Eczema causato da stress,” disse, leggendo la didascalia.

Van si esaminò le braccia. “Ho un eczema,” disse.

“Qui dice di tenerlo idratato e di provare ad applicare della crema al cortisone. Dovresti cercare nel kit di pronto soccorso nei bagni del secondo piano. Credo di averne visto un tubetto.” Come tutti gli altri sistemisti, Felix aveva rovistato negli uffici, nei bagni, nelle cucine e nei magazzini, imboscandosi nello zaino un rotolo di carta igienica e tre o quattro barrette energetiche. Vigeva il tacito accordo di spartirsi il cibo della caffetteria, ma ogni sistemista scrutava gli altri alla ricerca di segni di ingordigia o incetta. Tutti erano convinti che la gente prendeva le cose di nascosto, e questo perché quando nessuno li guardava erano loro stessi a farlo.

Van si alzò e quando il suo volto fu illuminato Felix notò quanto i suoi occhi fossero gonfi. “Chiederò nella mailing-list se qualcuno ha qualche antistaminico,” disse.

Dopo poche ore dalla fine della prima riunione erano state create quattro mailing-list e tre wiki per i sopravvissuti del palazzo, ma nei giorni successivi si erano accordati per usarne una sola. Felix era ancora iscritto ad una piccola lista con cinque dei suoi più fidati amici, due dei quali erano intrappolati in data-center esteri. Sospettava che anche altri conoscessero persone in situazioni analoghe.

Van si allontanò. “In bocca al lupo per le elezioni,” disse, dandogli un buffetto sulla spalla.

Felix si mise in piedi e cominciò a camminare, fermandosi solo per guardare fuori dalle finestre sudicie. Toronto bruciava ancora, forse più di prima. Aveva cercato mailing-list o blog frequentati da abitanti della città, ma gli unici che aveva trovato erano quelli tenuti da altri nerd chiusi in altri data-center. Era possibile – anzi, probabile – che i sopravvissuti avessero urgenze più grandi rispetto a quella di scrivere in Internet. Il telefono di casa sua per metà del tempo funzionava ancora, ma dopo il secondo giorno aveva smesso di chiamarlo; dopo aver sentito la voce di Kelly nella segreteria per la quindicesima volta era scoppiato a piangere nel mezzo di una riunione. Non era il solo a cui era successo.

Giorno di elezioni. Il momento della verità.

> Sei nervoso?

> No,

digitò Felix.

> Non mi interessa molto vincere, se devo essere sincero. Sono solo contento che questa cosa venga fatta. L’alternativa era restare seduti e rigirarsi i pollici, in attesa che arrivasse qualcuno che sfondasse la nostra porta d’ingresso.

Il cursore lampeggiava. Queen Kong rispondeva con lentezza, essendo impegnata a tenere a bada la sua banda di Googloidi a spasso per il Googleplex, e facendo il possibile per tenere in piedi il suo data-center. Tre dei centri oltreoceano erano andati offline e due delle loro sei linee dati ridondanti erano bruciate. Fortunatamente per lei, il numero di ricerche al secondo si era molto abbassato.

> La Cina c’è ancora

gli scrisse. Queen Kong aveva una grande lavagna con una mappa del mondo colorata a seconda delle ricerche che venivano fatte a Google ogni secondo, e riusciva a farci meraviglie, mostrando con grafici colorati l’evolversi del collasso. Aveva messo a disposizione un sacco di filmati che mostravano come le bombe e il morbo avevano colpito il globo: era evidente l’incremento iniziale di ricerche da parte delle persone che volevano capire cosa stesse succedendo, seguito dal macabro e improvviso decrescere dopo che il morbo aveva preso piede.

> La Cina è circa al novanta per cento dei suoi livelli abituali

Felix scosse il capo.

> Non puoi credere che siano loro i responsabili

> No

gli rispose. Cominciò a scrivere ancora qualcosa e si interruppe.

> No, certo che no. Credo nell’Ipotesi Popovich. Gruppi di stronzi che si usano l’un altro come copertura. Ma la Cina è riuscita a sopprimerli con molta più decisione e velocità di qualsiasi altro. Forse abbiamo finalmente scoperto a cosa servono i regimi totalitari.

Felix non riuscì a resistere. Scrisse:

> Sei fortunata che il tuo
capo non possa leggere quello che hai scritto. Voialtri eravate dei sostenitori piuttosto entusiasti del progetto del Great Firewall of China3.

> Non è mai stata una mia idea

gli scrisse.

> E il mio capo è morto. Probabilmente sono morti tutti. Tutta la Bay Area è stata colpita duramente, e oltre a questo c’è stato il terremoto.

Avevano guardato il report automatico dell’USGS dopo la scossa di 6.9 gradi Richter che aveva sfasciato la California settentrionale da Gilroy fino a Sebastapol. Le webcam a Soma rivelavano la portata dei danni – esplosioni dovute al gas, edifici non completamente antisismici crollati come fossero stati dei modellini presi a calci. Il Googleplex, sospeso su una serie di molle d’acciaio giganti, era oscillato come un piatto di gelatina; i rack erano rimasti al loro posto e la ferita più grave era stato l’occhio nero di un sistemista che si era beccato una pinza crimpatrice volante sulla faccia.

> Scusa, mi ero scordato

> Non fa niente. Tutti abbiamo perso qualcuno, giusto?

> Sì, sì. Comunque, non sono preoccupato per le elezioni. Può vincere chiunque, basta che facciamo QUALCOSA.

> Non se vince uno dei cazzoni.

Cazzoni era l’epiteto che alcuni sistemisti avevano adottato per riferirsi al gruppo che voleva spegnere Internet. L’aveva coniato Queen Kong – inizialmente a quanto pare era da lei utilizzato come nome comune per identificare tutti i manager IT incapaci che si era divorata nel corso della sua carriera.

> Non vinceranno. Sono semplicemente tristi e stanchi. Con il vostro appoggio porteremo a casa il risultato

I Googloidi erano uno dei gruppi più grossi e potenti rimasti, assieme ai ragazzi dei collegamenti satellitari e a quelli dei collegamenti transoceanici. L’appoggio di Queen Kong era stato una sorpresa, e quando le aveva scritto lei aveva risposto succintamente: ‘non possiamo far governare i cazzoni’.

> gtg4

gli scrisse, prima che le cadesse la connessione. Felix aprì un browser e provò ad andare su google.com. Ricevette un errore di time out. Premette il pulsante Aggiorna, successe di nuovo. Lo premette ancora, e la home page di Google tornò online. Qualsiasi cosa fosse capitata dalle parti di Queen Kong – blackout, worm, un altro terremoto – lei ci aveva posto rimedio. Sbuffò quando vide che avevano sostituito le O nel logo di Google con immagini di piccoli pianeti Terra, dai quali spuntavano funghi atomici.

Quando i sistemisti dominarono la terra [2]

I generatori entrarono in funzione un minuto dopo. I sistemisti si precipitarono in massa giù dalle scale. Felix prese Van per un braccio e lo trattenne.

“Forse dovremmo aspettare qui in sala, almeno fino a quando questo casino non passa.”

“E Kelly?” disse Van.

A Felix sembrava di dover vomitare da un momento all’altro. “Dobbiamo tornare in sala server.” La sala aveva filtri dell’aria per eliminare il microparticolato.

Corsero su per le scale fino alla grande sala. Felix aprì la porta, lasciando poi che si chiudesse alle sue spalle.

“Felix, devi andare a casa – “

“È un’arma biologica,” disse Felix. “Un super batterio. Saremo al sicuro qui, credo, almeno finché i filtri lo terranno fuori.”

“Come?”

“Vai su IRC,” disse.

Ci andarono. Van aveva il suo Maggiore McCheese, Felix utilizzò Puffetta. Saltarono da un canale all’altro della chat finché non ne trovarono uno con dei nick familiari.

> il pentagono è andato/la casa bianca pure

> I MIEI VICINI VOMITANO SANGUE DAL LORO BALCONE A SAN DIEGO

> Qualcuno ha fatto crollare il cetriolo1. I banchieri stanno scappando dal centro come topi.

> Ho sentito che il Ginza sta andando a fuoco.

Felix digitò: Sono a Toronto. Abbiamo appena visto la CN Tower crollare. Ho letto notizie di armi biologiche, qualcosa di molto rapido.

Van lo lesse e disse: “Non puoi sapere quanto sia veloce, Felix. L’esposizione potrebbe essere cominciata anche tre giorni fa.”

Felix chiuse gli occhi. “Se così fosse io e te dovremmo cominciare ad accusare dei sintomi, credo.”

> Sembra che un’onda elettromagnetica abbia messo fuorigioco Hong Kong e forse anche Parigi – a giudicare dai filmati satellitari sembrano completamente buie, tutti i loro segmenti di rete non routano più

> Sei a Toronto?

Era un nick sconosciuto.

> Sì – Front Street.

> Mia sorella si trova al UofT e nn riesco a sentirla, puoi kiamarla?

> I telefoni non funzionano

Scrisse Felix, fissando sul cellulare la scritta ERRORE DI RETE.

“Ho un soft phone sul Maggiore McCheese,” disse Van, lanciando l’applicazione di voice over ip. “Mi è venuto in mente adesso.”

Felix gli prese il portatile e compose il numero di casa. Fece uno squillo, poi ci fu un suono piatto e belante, simile a una di quelle ambulanze che si vedono nei film italiani.

Alzò lo sguardo su Van e vide le sue magre spalle tremare. Van disse: “Santissima e stronzissima merda. È la fine del mondo.”

***

Felix si staccò da IRC un’ora più tardi. Atlanta era bruciata. Manhattan era radioattiva – abbastanza da fottere tutte le webcam che inquadravano Lincoln Plaza. Diedero tutti la colpa all’Islam finché non fu chiaro che anche La Mecca era un braciere e che i reali sauditi erano stati impiccati davanti ai loro palazzi.

A Felix tremavano le mani, Van stava piangendo in silenzio in un angolo lontano della sala. Cercò nuovamente di chiamare casa, poi provò a mettersi in contatto con la polizia. Non ebbe miglior fortuna rispetto ai venti tentativi precedenti.

Si collegò in ssh al suo computer del piano di sotto e aprì la casella di posta. Spam, spam, spam. Altro spam. Messaggi automatici. Ecco – un messaggio urgente dal sistema di rilevamento intrusioni dell’armadio della Ardent.

Qualcuno stava tentando di entrare nei suoi router ripetutamente e in modo grossolano. L’aggressione non corrispondeva a nessuna firma conosciuta di worm. Seguendo il traceroute scoprì che l’attacco partiva da quello stesso edificio, un piano sotto il suo.

C’erano delle procedure per situazioni del genere. Fece una scansione delle porte del suo aggressore e trovò la porta 1337 aperta – 1337 stava per “leet” ovvero “elite” nel codice numeri/lettere degli hacker. Quello era il genere di porte che gli worm lasciavano aperta per strisciare dentro e fuori dai computer. Cercò su google degli exploit conosciuti che si mettessero in ascolto sulla porta 1337, restrinse il campo utilizzando i dettagli del sistema operativo del server compromesso e infine trovò il colpevole.

Era un worm vetusto, uno per il quale tutte le macchine sarebbero dovute essere protette ormai da anni. Non aveva importanza. Ne aveva il client e lo usò per crearsi un account di root nel sistema, ci si loggò e si diede una guardata in giro.

C’era solo un utente attivo, “scaredy” e controllando il monitor dei processi vide che scaredy aveva lanciato le centinaia di processi che stavano sondando le sue macchine come molte altre.

Aprì una chat.

> Smetti di sondare i miei server.

Si aspettò escandescenze, colpa, negazione. Fu sorpreso.

> Sei nel data center di Front Street?

> Sì.

> Cristo, credevo di essere l’unico sopravvissuto. Sono al quarto piano. Credo che là fuori ci sia un attacco biologico. Non voglio lasciare la sala asettica.

Felix emise un lungo sospiro.

> Mi stavi sondando per farti rintracciare?

> Già

> Brillante

Sveglio, il bastardo.

> Sono al sesto piano. C’è un’altra persona con me.

> Cosa sapete?

Felix copiò il log della chat IRC e aspettò che il tizio lo digerisse. Van stava in piedi e camminava avanti e indietro. I suoi occhi erano velati.

“Van?”

“Mi scappa la pipì.”

“Non possiamo aprire la porta,” disse Felix. “Ho visto una bottiglia di Mountain Dew vuota in quel bidone lì.”

“Gius
to,” disse Van. Camminò come uno zombie fino al bidone e tirò fuori la magnum vuota. Si voltò verso il muro.

> Mi chiamo Felix

> Will

Felix pensò a 2.0 e il suo stomaco fece un salto mortale.

“Felix, credo di dover uscire,” disse Van. Stava muovendosi verso la porta stagna. Felix lasciò cadere la tastiera, si mise in piedi e corse a testa bassa verso Van, buttandolo a terra prima che raggiungesse l’uscita.

“Van,” disse, guardando gli occhi velati e assenti del suo amico. “Guardami, Van.”

“Devo uscire,” disse Van. “Devo andare a casa a dar da mangiare ai gatti.”

“C’è qualcosa là fuori, qualcosa di rapido e letale. Forse il vento lo disperderà. Forse non c’è già più. Ma noi ce ne staremo qui finché non saremo certi di non avere altra scelta. Siediti, Van. Siediti.”

“Ho freddo, Felix.”

Si gelava. Sulle braccia Felix aveva la pelle d’oca, i piedi erano dei blocchi di ghiaccio.

“Siediti addosso ai server, vicino alle ventole. Prenditi il caldo che buttano fuori.” Trovò un armadio e ci si rannicchiò contro.

> Sei lì?

> Sempre qui – pensavo alla logistica

> Quanto ci vorrà prima di poter uscire?

> Non ne ho idea

Per un po’ di tempo nessuno scrisse niente.

Felix dovette servirsi per due volte della bottiglia di Mountain Dew. Poi fu di nuovo il turno di Van. Felix cercò ancora di chiamare Kelly. Il sito della Metro Police era caduto.

Appoggiò la schiena ai server, scivolò fino a sedersi per terra, cinse le ginocchia tra le braccia e finalmente pianse come un bambino.

Dopo un minuto, Van gli si avvicinò e gli si sedette di fianco, mettendogli un braccio attorno alla spalla.

“Sono morti, Van. Kelly e mio f– figlio. La mia famiglia non c’è più.”

“Non puoi esserne sicuro,” disse Van.

“Sono sicuro a sufficienza. Cristo santo, è la fine di tutto, vero?”

“Terremo duro ancora per qualche ora e poi usciremo. La situazione dovrebbe tornare presto alla normalità. I pompieri sistemeranno le cose. Mobiliteranno l’esercito. Andrà tutto bene.”

A Felix facevano male le costole. Non piangeva da quando era nato 2.0. Strinse con più forza le ginocchia a se.

Poi la porta si aprì.

I due sistemisti che entrarono sembravano spiritati. Uno aveva una maglietta con scritto “TALK NERDY TO ME”, l’altro indossava una camicia della Electronic Frontiers Canada.

“Muovetevi,” disse TALK NERDY. “Ci stiamo radunando all’ultimo piano. Usate le scale.”

Felix si accorse che stava trattenendo il fiato.

Se nell’edificio c’è un agente tossico saremmo infettati ugualmente, prima o poi,” disse TALK NERDY. “Venite, ci vediamo là.”

“C’è una persona al sesto piano,” disse Felix alzandosi in piedi.

“Sì, Will. Lo abbiamo avvisato. È già salito.”

TALK NERDY era uno degli Stronzissimi Sistemisti Infernali che avevano scollegato i grossi router. Felix e Van salirono lentamente le scale mentre i loro passi echeggiavano sulla rampa deserta. Dopo l’aria gelida della sala server, le scale sembravano una sauna.

All’ultimo piano c’era un bar con gabinetti funzionanti, acqua, caffè e macchinette distributrici. Davanti a ognuna di queste cose c’era una coda di sistemisti a disagio. Nessuno guardava in faccia nessuno. Felix si chiese chi di loro fosse Will, poi si mise anche lui in coda per le macchinette.

Prima di finire gli spiccioli riuscì a prendere un paio di barrette energetiche e una tazza gigante di caffè. Van si era conquistato un po’ di spazio su un tavolo e Felix vi appoggiò la roba prima di mettersi in coda per il bagno. “Tieni, lasciamene un po’,” disse lanciando a Van una delle barrette.

Dopo che tutti i presenti ebbero evacuato, si furono sistemati ed ebbero cominciato a mangiare, TALK NERDY e il suo amico tornarono nuovamente. Tolsero il registratore di cassa all’estremità del bancone e TALK NERDY vi si mise in piedi. Lentamente le conversazioni cessarono.

“Mi chiamo Uri Popovich e lui è Diego Rosenbaum. Grazie a tutti per essere saliti fin qui. Queste sono le cose che sappiamo con certezza: da tre ore l’edificio sta utilizzando i suoi generatori di energia elettrica. Da un’osservazione visuale sembra che il nostro sia l’unico edificio del centro di Toronto che disponga ancora di elettricità – elettricità che dovrebbe durare per altri tre giorni. C’è un agente biologico di origine sconosciuta attivo all’esterno dell’edificio. Uccide in fretta, entro poche ore, e si diffonde nell’aria. Si viene infettati respirando aria contaminata. Le porte di questo edificio non sono state aperte più dalle cinque di questa mattina. Nessuno le dovrà aprire finché io non vi darò il via libera.

“Attacchi diretti alle maggiori città del mondo hanno gettato nel caos i servizi di pronto intervento. Gli attacchi sono di natura elettronica, biologica, nucleare o avvengono per mezzo di esplosivi convenzionali, e sono molto diffusi. Lavoro come esperto della sicurezza e dalle mie parti attacchi a grappolo come questi sono chiamati opportunistici: il gruppo B riesce a far saltare un ponte perché tutti stanno prendendo provvedimenti contro la bomba sporca piazzata dal gruppo A. È ingegnoso. Una cellula di Aum Shin Rikyo ha gassato le metropolitane locali alle 2 di questa mattina – questo è il primo evento che siamo riusciti a individuare, quello che potrebbe essere stato la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Siamo abbastanza sicuri che Aum Shin Rikyo non possa grave; stare dietro a tutto questo pandemonio: non hanno alcuna esperienza in attacchi informatici e non hanno mai dimostrato l’acume organizzativo necessario per colpire così tanti obiettivi contemporaneamente. In sostanza, non sono abbastanza intelligenti.

“Per il prossimo futuro staremo tappati qui dentro, almeno finché l’arma biologica non sarà stata identificata e dispersa. Faremo manutenzione sui rack e terremo in piedi la rete. Questa è un’infrastruttura critica e il nostro compito è fare in modo che mantenga tutti e cinque i 9 di uptime2. In tempi di emergenza nazionale, la nostra responsabilità perché ciò avvenga è raddoppiata.”

Un sistemista alzò la mano. Era uno dei più giovani del gruppo e indossava con una certa baldanza una maglietta verde dell’Incred
ibile Hulk.

“ Chi ti ha fatto re?”

“Ho il controllo del sistema di sicurezza principale, le chiavi di tutte le sale e i codici delle porte esterne – che ora sono tutte chiuse, tra l’altro. Sono la persona che vi ha radunati tutti qui e che ha indetto la riunione. Non mi importa se qualcun altro vuole fare il mio lavoro, è un lavoro di merda. Ma qualcuno deve farlo.”

“Hai ragione,” disse il ragazzo. “E io posso farlo bene esattamente quanto te. Mi chiamo Will Sario.”

Popovich guardò il ragazzo dall’alto in basso. “Bene, se mi lascerai finire di parlare, forse quando avrò concluso ti passerò le consegne.”

“Per carità, finisci pure.” Sario gli diede le spalle e andò alla finestra. Guardava con intensità l’esterno. Lo sguardo di Felix ne fu attirato, vide diversi pennacchi di fumo nero che si alzavano dalla città.

L’impeto di Popovich era sparito. “Allora, cosa facciamo?” chiese.

Dopo una prolungata pausa di silenzio il ragazzo si guardò attorno. “Toh, è arrivato il mio turno?”

Ci fu un diffuso e benevolente ridacchiare.

“Ecco cosa penso,” disse Will. ”Il mondo sta andando a puttane. Ci sono attacchi coordinati diretti a tutte le infrastrutture critiche. C’è solo un modo per sincronizzare questi attacchi con tale perfezione: via Internet. Anche se sposiamo la tesi dei colpi opportunistici, dobbiamo chiederci come possa venire organizzato un attacco opportunistico nel giro di pochi minuti: solo via Internet.”

“Quindi credi che dovremmo buttare giù Internet?” Popovich accennò una risata, ma smise subito quando Sario non rispose.

“L’attacco della scorsa notte ha messo quasi del tutto fuori gioco Internet. Un piccolo DoS verso i router critici, un po’ di casino con i DNS e la rete è andata a gambe all’aria, neanche fosse la figlia di un prete. La polizia e i militari sono un branco di utonti tecnofobici, non utilizzano la rete quasi per niente. Se la buttiamo giù, recheremo agli aggressori un danno proporzionalmente maggiore. Quando verrà il momento potremo ricostruirla.”

“Stai sparando un mucchio di stronzate,” disse Popovich, che era rimasto letteralmente a bocca aperta.

“È semplicemente logico,” disse Sario. “A molte persone non piace confrontarsi con la logica quando impone decisioni difficili. Ma questo è un problema delle persone, non della logica.”

Da un rumoreggiare sommesso, le conversazioni si tramutarono presto in fragore.

“State ZITTI!” Sbraitò Popovich. Il chiasso si abbassò di un Watt. Popovich urlò ancora, pestando il piede sul bancone. Finalmente si ristabilì una parvenza d’ordine. “Uno per volta,” disse infine. Era rosso in viso e teneva le mani piantate in tasca.

Un sistemista voleva rimanere. Un altro voleva andarsene. Avrebbero dovuto nascondersi tra i server. Avrebbero dovuto fare un inventario delle provviste e nominare un quartiermastro. Avrebbero dovuto uscire e cercare al polizia o dare una mano negli ospedali. Avrebbero dovuto nominare delle guardie per sorvegliare gli ingressi.

Felix si sorprese con la mano alzata. Popovich gli diede la parola.

“Mi chiamo Felix Tremont,” disse mettendosi in piedi sopra a un tavolo ed estraendo il suo palmare. “Voglio leggervi una cosa.

“’Governi del Mondo Industriale, stanchi giganti di carne e acciaio, chi vi parla proviene dal cyberspazio, la nuova casa della Mente. In nome del futuro, chiedo a voi del passato di lasciarci in pace. Non siete i benvenuti tra di noi. Dove noi ci riuniamo, voi non avete autorità.

“’Non abbiamo un governo eletto, né abbiamo intenzione di averne uno, per questo mi rivolgo a voi senza autorità più grande di quella con la quale sempre parla la libertà stessa. Dichiaro lo spazio sociale che stiamo costruendo indipendente, per sua natura, dalle tirannie che cercate di imporci. Non avete alcun diritto morale di governarci né possedete alcun metodo di coercizione che noi dobbiamo ragionevolmente temere.

“’I governi ottengono i loro legittimi poteri dal consenso dei governati. Voi non avete mai richiesto né ottenuto il nostro consenso. Noi non vi abbiamo invitati. Voi non ci conoscete, né conoscete il nostro mondo. Il Cyberspazio non sta all’interno delle vostre frontiere. Non crediate di poterlo costruire come se non fosse altro che il progetto di un cantiere di un’opera pubblica. Non potete. È un fenomeno naturale e cresce spontaneamente attraverso le nostre azioni collettive.’

“È tratto dalla Dichiarazione di Indipendenza del Cyberspazio, è stato scritto dodici anni fa. Prima d’ora credevo che fosse una delle cose più belle che avessi mai letto. Prima d’ora desideravo che mio figlio crescesse in un mondo in cui il cyberspazio fosse libero – e che la sua libertà infettasse il mondo fisico, cosicché anche anche questo diventasse più libero.”

Deglutì con difficoltà e si strofinò gli occhi con il dorso della mano. Van gli diede una goffa pacca sulla scarpa.

“Oggi il mio meraviglioso figlio e la mia stupenda moglie sono morti. Assieme a loro, altri milioni di persone. La nostra città sta andando letteralmente a fuoco. Altre sono scomparse completamente dalle mappe.”

Ricacciò indietro un singhiozzo e deglutì di nuovo.

“In tutto il mondo, persone come noi sono radunate in edifici come questo. Quando è avvenuto il disastro anche loro stavano cercando di riparare i danni del worm della scorsa notte. Abbiamo fonti indipendenti di energia. Cibo. Acqua.

“Abbiamo la rete, che i cattivi sanno usare così bene, mentre i buoni non l’hanno mai capita.

“Condividiamo l’amore per la libertà, perché ci prendiamo a cuore le cose; perché ci prendiamo cura della rete. Siamo responsabili dello strumento organizzativo e governativo più importante che si sia mai visto nel mondo. Siamo la cosa più simile a un governo che il mondo in questo momento può avere. Ginevra è un cratere. L’East River è in fiamme e il palazzo delle Nazioni Unite è stato evacuato.

“La Repubblica Distribuita del Cyberspazio è sopravvissuta a questa tempesta praticamente illesa. Siamo i custodi di un macchinario mostruoso e immortale, un macchinario che ha la potenzialità di costruire un mondo migliore.

“Non mi resta altro per cui vivere.”

Gli occhi di Van erano pieni di lacrime. Non era il solo. Nessuno applaudì, ma fecero di meglio. Mantennero per diversi secondi un rispettoso e assoluto silenzio, che si prolungò fino a un minuto.

“Come possiamo riuscirci?” chiese Popovich, senza traccia di sarcasmo.

Quando i sistemisti dominarono la terra [1]

Introduzione: Della stessa pasta delle storie della sala macchine di Davide Bianchi, una altro racconto che porterà molti studenti di informatica a tentare la via del SysAdmin. Questa è dichiaratamente fantastica ma con un ironia di fondo molto simile. Leggete e divertitevi.

Quando i sistemisti dominarono la terra
di Cory Doctorow
Traduzione di Stefano Bonora
Via Buforana

Prima parte

Quando il telefono speciale di Felix squillò alle due di notte, Kelly, rigirandosi, gli tirò un pugno sulla spalla, per poi sibilargli: “Perché non spegni mai quel cazzo di coso prima di andare a letto?”

“Perché devo essere reperibile.” rispose.

“Non sei un cazzo di dottore,” disse lei, tirandogli un calcio. Nel frattempo Felix si era seduto sul bordo del letto per infilarsi i calzoni che aveva lasciato sul pavimento appena prima di andare a dormire. “Sei un dannato sistemista.”

“È il mio lavoro,” disse lui.

“Ti sfruttano come una bestia da soma,” disse lei. “E lo sai che ho ragione. Per amor del cielo, sei un padre di famiglia ora, non puoi metterti a correre nel mezzo della notte ogni volta che qualcuno non riesce a scaricarsi i porno. Non rispondere a quel telefono.”

Felix sapeva che lei aveva ragione. Rispose al telefono.

“I router principali non rispondono. Il BGP non risponde.” Visto che alla voce meccanica del sistema di controllo gli insulti non facevano alcun effetto , la insultò, e questo lo fece sentire un poco meglio.

“Forse riesco a sistemarlo da qui,” disse. Poteva collegarsi all’UPS del rack e riavviare i router. L’UPS stava in un segmento di rete differente, con router indipendenti e sistemi di alimentazione di emergenza separati.

Kelly sedeva sul letto, una forma indistinta contro la testata. “In cinque anni di matrimonio non sei mai riuscito a sistemare niente da qui.”

Questa volta aveva torto – sistemava le cose da remoto continuamente, ma con discrezione e senza farne drammi, ed era per questo che lei non se ne ricordava. Ma allo stesso tempo aveva anche ragione – dai log si vedeva chiaramente che dopo l’una di notte niente poteva essere più sistemato senza prendere la macchina e andare fino al rack. Era la Legge della Malvagità Universale, conosciuta anche come la Legge di Felix.

Cinque minuti dopo Felix era al volante. Non era riuscito a sistemarlo da casa. Anche la rete dei router indipendenti era giù. L’ultima volta che accadde fu perché un muratore rimbecillito aveva tranciato con la macchina scava-fosse il principale condotto dati del data-center. Per una settimana Felix si era unito allo squadrone di cinquanta furiosi amministratori di sistema, in piedi davanti alla buca ad insultare quei poveracci costretti a lavorare giorno e notte per ricollegare tra loro diecimila cavi spezzati.

Il telefono suonò altre due volte mentre era in macchina, e lui lasciò che la voce automatica sovrastasse l’autoradio e recitasse il malfunzionamento di altre infrastrutture di rete dagli altoparlanti. Poi chiamò Kelly.

“Ciao,” disse lui.

“Non fare il ruffiano. Guarda che dalla voce si sente.”

Sorrise involontariamente. “Ma no, ho controllato, nessuna ruffianeria.”

“Ti amo, Felix,” disse lei.

“E io sono completamente pazzo di te, Kelly. Torna a letto.”

“Due punto zero è sveglio,” disse. Il bambino era in beta test quando stava nel suo grembo; quando le acque le si ruppero lui ricevette la chiamata e si precipitò fuori dall’ufficio gridando Stiamo andando in Gold! Cominciarono a chiamarlo 2.0 prima che smettesse di piangere il suo primo pianto. “Questo piccolo bastardo è nato per succhiare capezzoli.”

“Mi spiace di averti svegliata,” disse. Era quasi arrivato al data-center. Non c’è traffico alle due di notte. Rallentò e accostò prima dell’ingresso del garage. Non voleva far cadere la linea andando sottoterra.

“Non è perché mi hai svegliato,” disse lei. “Lavori lì da sette anni. Hai tre dipendenti che rispondono a te. Quel telefono devi darlo a loro. Tu hai già dato abbastanza.”

“Non mi va di chiedere di fare qualcosa che non sono disposto a fare anch’io,” disse.

“Ma tu l’hai già fatto,” disse lei. “Te lo chiedo per piacere. Odio svegliarmi e trovarmi sola. Di notte mi manchi tantissimo.”

“Kelly – ”

“Non sono più arrabbiata. Mi manchi e basta. Quando sei con me faccio bei sogni.”

“OK,” disse.

“Tutto qui?”

“Esatto. Tutto qui. Non voglio che tu abbia gli incubi e ho già dato abbastanza. Da ora in avanti farò le reperibilità notturne solo per coprire i periodi di ferie.”

Lei rise. “I sistemisti non vanno in ferie.”

“Il tuo ci andrà,” le disse. “Promesso.”

“Sei meraviglioso. Oddio, che schifo. 2.0 ha appena fatto un core dump sulla mia vestaglia.”

“E bravo il mio ragazzo.”

“Tutto suo padre,” disse lei. Riattaccò e Felix condusse la macchina fino al parcheggio del data-center, fece passare il tesserino e sollevò una stanca palpebra per permettere allo scanner di retine di dargli una bella guardata all’occhio assonnato.

Si fermò al distributore per prendersi una barretta energetica al guaranà-medafonil e del velenoso caffè da macchinetta. Sbranò la barretta e sorseggiò il caffè dalla tazza a prova di rovesciamento, quindi la porta interna gli lesse la forma della mano e lo misurò per un istante. Si aprì con un sospiro e una ventata di aria a pressione positiva lo investì quando infine riuscì a entrare nel sancta sanctorum.

Era un casino. I rack sono progettati per permettere a due o tre sistemisti di lavorarci attorno contemporaneamente. Ogni altro centimetro cubo è destinato alle ronzanti fila di server, router e dischi. Ma in quell’istante non erano meno di venti i sistemisti che si accalcavano attorno agli armadi. Formavano la prevedibile adunata di magliette nere dalle scritte incomprensibili e di pance cascanti sopra a cinture dalle quali pendevano telefonini e coltellini.

Di solito in sala server ci si congela, ma tutti quei corpi stavano surriscaldando il piccolo spazio chiuso. In cinque o sei alzarono lo sguardo e sorrisero quando Felix li oltrepassò. Due lo salutarono per nome. Infilò la pancia tra la calca e i rack, fino ad arrivare all’armadio della Ardent all’altro lato della stanza.

“Felix.” Era Van, che quella notte non era reperibile.

“Che ci fai qui?” disse Felix. “Non serve a nessuno se domani siamo entrambi in coma.”

“Come? Ah, no, la mia macchina personale è laggiù. È caduta attorno all’una e mezza e sono stato svegliato dal sistema di controllo. Avrei dovuto chiamarti per dirti che stavo venendo giù io, ti avrei risparmiato il viaggio.”

Il server personale di Felix – condiviso con altri cinque amici – stava in un armadio al piano di sotto. Si chiese se anche quello fosse offline.

“Che sta succedendo?”

“Un attacco massiccio di flashworm. Qualche stronzo ha fatto dei test Monte Carlo su tutti i blocchi di IP, inclusi gli IP versione 6 e si è preso tutte le macchine Windows della rete. Tutti i grossi Cisco hanno le interfacce di amministrazione su IPv6 e si inchiodano se ricevono più di 10 test simultanei, il che vuol dire che tutti i nodi di interscambio sono caduti. Anche il DNS è fottuto, come se qualcuno la scorsa notte avesse fatto zone poisoning. Ah, c’è anche un componente email e messenger che invia dei messaggi realistici ai contatti che si hanno in rubrica e riesce a sostenere in modo convincente dei semplici dialoghi in stile Eliza, per indurre le persone ad aprire un allegato con un virus.”

“Cazzo.”

“Già.” Van era un sistemista di tipo due, alto più di due metri, capelli raccolti in una lunga coda di cavallo, pomo d’adamo ballonzolante. Dal suo ampio petto la maglietta diceva SCEGLI LA TUA ARMA e mostrava una serie di dadi poliedrici da gioco di ruolo.

Felix era un sistemista di tipo uno, con una trentina di chili di troppo tutti distribuiti al centro e una barba piena e ordinata che cresceva sui suoi menti extra. La sua maglietta diceva HELLO CTHULHU e mostrava uno Cthulhu carino e senza bocca stile Hello Kitty. Van e Felix si conoscevano da quindici anni, essendosi incontrati prima in Usenet, poi di persona a Toronto per un raduno di Freenet a base di birra; in seguito si erano incontrati anche a una o due convention di Star Trek, fino a che Van fu assunto da Felix per lavorare con lui alla Ardent. Era affidabile e metodico. Avendo studiato da Ingegnere Elettrico teneva una serie di blocchi di carta nei quali annotava tutti i dettagli delle operazioni che svolgeva, completi di data e ora.

“Questa volta non è un PEBKAC,” disse Van. Problem Exists Between Keyboard and Chair1. I trojan2 mandati per posta rientrano in questa categoria – se le persone fossero abbastanza intelligenti da non aprire allegati sospetti, i trojan sarebbero una cosa del passato. Ma dei worm che si mangiano router Cisco non sono un problema legato agli utonti – sono un problema legato a ingegneri incompetenti.

“No, è colpa di Microsoft,” disse Felix. “Ogni volta che devo lavorare alle due di notte o è per un PEBKAC o è per colpa di Winzozz.”

Alla fine scollegarono semplicemente i dannati router dalla rete. Non fu Felix a farlo, ovviamente, anche se aveva una voglia matta di riavviarli dopo aver disabilitato le interfacce su IPv6. Fu una coppia di massicci Stronzissimi Sistemisti Infernali3 che per avere accesso al rack dovettero girare due chiavi contemporaneamente, come le guardie dei depositi missilistici. D’altra parte il 95% del traffico a lunga distanza canadese passava da questo edificio. La sicurezza doveva essere maggiore di quella di molti siti missilistici.

Felix e Van rimisero in funzione uno alla volta i computer della Ardent. Erano martellati dalle sonde degli worm – l’aver ripristinato i router aveva esposto agli attacchi i rack situati a valle. Ogni computer in Internet o stava affogando sommerso dagli worm o li stava diffondendo, o faceva entrambe le cose. Fu soltando dopo un centinaio circa di timeout che Felix riuscì a raggiungere NIST e Bugtraq e a scaricare un aggiornamento del kernel che avrebbe dovuto ridurre il carico che gli worm generavano sulle macchine in sua gestione. Erano le dieci di mattina, ed era tanto affamato da volersi mangiare le suole delle scarpe, ma ricompilò i suoi kernel e riportò le macchine online. Le lunghe dita di Van volavano sulla tastiera di amministrazione e la lingua gli sporgeva dalle labbra mentre lanciava su ciascun computer i programmi di diagnostica.

“Avevo duecento giorni di uptime su Greedo,” disse Van. Greedo era il server più vecchio dell’armadio, risaliva al tempo in cui battezzavano i computer secondo i personaggi di Star Wars. Poi erano passati ai Puffi e, visto che i Puffi erano finiti, avevano iniziato con i personaggi di McDonaldland: il primo era stato il portatile di Van, il Maggiore McCheese.

“Greedo sorgerà di nuovo,” disse Felix. “Ho un 486 giù da basso che ha oltre cinque anni di uptime. Mi si spezza il cuore doverlo riavviare.”

“Per che straminchia lo usi un 486?”

“Per niente. Ma come si fa a spegnere una macchina con cinque anni di uptime? È come staccare la spina a tua nonna.”

“Voglio andare a mangiare,” disse Van.

“Senti un po’. Che ne dici se rimettiamo in piedi il tuo computer, sistemiamo il mio e poi ti porto al Lakeview Lunch? Dopo che ci siamo fatti una pizza puoi prenderti il resto della giornata.”

“Ci sto,” disse Van. “Sei troppo buono con noi altre merdine. Dovresti buttarci in un pozzo e picchiarci come fanno gli altri capi. Ce lo meritiamo.”

“Ti suona il telefono,” disse Van. Felix si sollevò dalle interiora del 486: dopo averlo spento non c’era stato verso di riaccenderlo. Aveva anche scroccato un alimentatore di riserva da dei tizi, spammatori, che stavano cercando di rimettere in piedi la loro baracca. Lasciò che Van gli raccogliesse il cellulare e glie lo porgesse, gli era caduto dalla cintura mentre si contorceva per raggiungere il retro della macchina.

“Ehi, Kel,” disse. Si sentiva un rumore strano e al tempo stesso indecifrabile. Statica? 2.0 che faceva il bagnetto? “Kelly?”

La linea cadde. Cercò di richiamare, ma senza nessun risultato – né squilli né segreteria. Il telefono andò prima in timeout, poi mostrò ERRORE DI RETE sul display.

“Dannazione,” disse, ma senza astio. Riagganciò il telefono alla cintura. Kelly avrà voluto sapere quando sarebbe tornato a casa, oppure avrà voluto che passasse a comprare qualcosa. Avrebbe lasciato un messaggio in segreteria.

Stava testando l’alimentatore quando il cellulare squillò di nuovo. Lo afferrò e rispose. “Kelly, ehi, che succede?” Si sforzò per far sparire dalla voce ogni traccia di irritazione. Si sentiva in colpa: tecnicamente parlando, aveva terminato i suoi obblighi con la Ardent Financial LLC l’istante in cui i loro server erano tornati raggiungibili. Le ultime tre ore le aveva spese esclusivamente per scopi personali – anche se era intenzionato ad addebitarle ugualmente all’azienda.

C’erano dei singhiozzi al telefono.

“Kelly?” Sentì il sangue defluirgli dal viso, le dita dei piedi intorpidirsi.

“Felix,” disse lei, appena comprensibile tra i singhiozzi. “È morto, oh Cristo, è morto.”

“Chi? Chi, Kelly?”

“Will,” disse.

Will? pensò. E chi cazz – cadde in ginocchio. William era il nome che avevano scritto sul certificato di nascita, anche se l’avevano sempre chiamato 2.0 . Felix emise un suono angosci
ato, un latrato sofferente.

“Sto male,” disse lei. “Non riesco neppure a reggermi in piedi. Oh, Felix, ti amo tanto.”

“Kelly, che succede?”

“Tutti, tutti – “ disse lei. “Ci sono solo due canali in televisione. Madonna, Felix, fuori dalla finestra sembra l’alba dei morti viventi – “ La sentì vomitare. Il segnale cominciò a vacillare, e il telefono ripropose i suoi conati come se fosse un delay digitale.

“Kelly, non ti muovere!” gridò mentre cadeva la linea. Digitò il 911, ma il telefono mostrò ancora ERRORE DI RETE non appena ebbe premuto CHIAMA.

Strappò il Maggiore McCheese da Van, lo collegò al cavo di rete del 486 e lanciò Firefox dalla linea di comando, trovò con google il sito della Metro Police. Rapidamente, ma senza farsi prendere dal panico, cercò il modulo per le segnalazioni online. Felix non perdeva la testa, mai. Lui i problemi li risolveva, perdere la testa non serviva a risolvere niente.

Trovò il modulo e descrisse i dettagli della sua conversazione con Kelly come se stesse compilando un bug report: le sue dita erano veloci, la sua descrizione esauriente; poi premette INVIO.

Van aveva letto tutto da sopra la sua spalla. “Felix – “ cominciò.

“Dio,” disse Felix. Era seduto sul pavimento del rack; si rimise in piedi. Van riprese il portatile e tentò di visitare qualche sito di informazione, ma non ne rispondeva nessuno. Era impossibile capire se ciò era dovuto perché stava succedendo qualcosa di terribile o perché la rete zoppicava ancora per l’attacco del super worm.

“Devo andare a casa.” disse Felix.

“Ti accompagno,” disse Van. “Così mentre guido puoi provare ancora a chiamare tua moglie.”

Si fecero strada fino agli ascensori. Lì vi era una delle poche finestre dell’edificio, uno spesso oblò schermato. Ci guardarono attraverso mentre aspettavano l’ascensore. Non c’era molto traffico per essere mercoledì. C’erano forse più macchine della polizia del solito?

O mio Dio –“ indicò Van.

La torre CN, un’acuminata e gigantesca cattedrale nel deserto, incombeva a est. Era storta come un ramo piantato nella sabbia umida. Si muoveva? Sì. Si inclinava, accelerando lentamente, cadendo in direzione nordest, verso il quartiere finanziario. Dopo qualche istante oltrepassò il punto di non ritorno. Fu allora che crollò. Prima si avvertì la vibrazione, poi si fece udire il boato; l’intero edificio tremò per l’impatto. Una nuvola di polvere si sollevò dalle rovine, e ci furono altri schianti mentre l’edificio più grande del mondo travolgeva un palazzo dopo l’altro.

“Sta crollando il Broadcast Centre.” disse Van. Era vero – la torre della CBC stava collassando al rallentatore. La gente correva da tutte le parti e veniva schiacciata dai pezzi degli edifici che precipitavano. Visto attraverso l’oblò, era come guardare una demo di computer grafica scaricata da qualche sito di scambio file.

I sistemisti si ammassarono attorno a loro, sgomitando per assistere alla distruzione.

“Che è successo?” uno di loro chiese.

“È caduta la torre CN,” disse Felix. Il suono della sua voce suonava lontano alle sue stesse orecchie.

“È stato il virus?”

“Cosa? Il worm?” Felix guardò il tizio, un giovane amministratore con solo piccole maniglie da tipo-due attorno alla vita.

“Non il worm,” disse il tizio.” Mi è arrivata una mail che dice che la città è stata posta in quarantena per colpa di qualche virus. Armi biologiche, dicono.” Porse a Felix il proprio Blackberry.

Felix era talmente assorto nell’annuncio – inviato dal ministero della salute canadese, se si voleva credere a quello che c’era scritto – che non si accorse che tutte le luci si erano spente. Quando se ne rese conto ricacciò il Blackberry nella mano del proprietario ed emise un piccolo sospiro.

Connesione a internet con Mitac P550i e LG343i

La scrivo qua più che altro per ricordarmela, la guida è tratta da PocketPcItalia.com con una piccola variazione.

  1. accendere il bluetooth del palmare e accendere il bluetooth del cellulare
  2. accoppiare i dispositivi
  3. Aprire “Impostazioni”
  4. Andare al folder “Connessioni”
  5. Tappare “Connessioni”
  6. Modificare o Creare una connessione, selezionando il cellulare precedentemente accoppiato
  7. inserire come numero telefonico *99# (o x vodafone *99***1#) poi di nuovo avanzate
  8. nella schermata impostazioni della porta: controllo di flusso selezionare “software” e il resto di default
  9. nella schermata opzioni chiamata, inserire la seguente stringa, lasciando il resto di default:

x vodafone: +cgdcont=1,”IP”,”web.omnitel.it”

x wind: +cgdcont=1,”IP”,”internet.wind.biz

x tim: +cgdcont=1,”IP”,”UNI.TIM.IT”

  1. a questo punto siete pronti a partire (lasciare in bianco nome utente -password)

Nota importante: Non c’è bisogno di impostare nulla sul cellulare. Tutte le impostazioni vengono passate dal PocketPC al Cellulare.

Ancora su WordPress

Sto sperimentando ancora in vista di un ipotetico trasferimento. Devo verificare se Analytics e Adsense funzionano.

A quanto sembra non è possibile aggiungerli come widget di testo, perche si mangia letteralmente il codice javascript. Non è neanche possibile aggiungere un plugin nella versione hostata su wordpress.com, bisognerebbe usare la versione da scaricare e hostare per conto proprio.
Altrimenti si potrebbe modificare il CSS … ma anche questa opzione sarebbe a pagamento.
Troppe cose a pagamento …

Anche qua un punto negativo per WordPress nei confronti di Blogger.

Per ora come unico lato positivo vedo solo la disponibilità di piu template…

Primo Compleanno

Quasi dimenticavo … 2 giorni fa questo blog ha compiuto un anno !

Ringrazio i circa 2500 visitatori casuali che sono passati di qua. Sono pochi ma questo e’ un blog vecchia maniera. Scrivo quello che fa piacere a me, non quello che potrebbe far piacere a voi. E se per 2500 queste due cose sono coincise, tanto meglio!

Passo a wordpress ?

Il problema principale è che l’attuale design di questo blog mi ha annoiato. Blogger offre poche alternative, e il nuovo sistema di template è sufficientemente complesso da scoraggiare la gente a crearne e offrirne di gratuiti.
WordPress sempra che abbia un migliore community di supporto. Quando certo aggeggini vari per il blog wordpress salta sempre fuori. Certo mi scoccerebbe riscrivere a mano 101 post.

Ma facciamo una descrizione del tentativo di usare wordpress:

  • Homepage mezza in italiano e mezza in inglese. Male.
  • La registrazione è mooolto veloco. Bene.
  • La mail di conferma è in inglese. Il team di internazionalizzazione è da frustare. Ammesso che esista.
  • Durante la modifica del profile continua a farmi domande in inglese nonostante abbia settato la lingua di visualizzazione in italiano
  • Devo settare in italiano anche la lingua del blog. Ma mettere predefinita la linuga del blog uguale alla lingua di visualizzazione è cosi difficile?
  • La mappatura del dominio è a pagamento. 10 crediti. Ignoro quanto sia in euro. Male
  • Ancora problemi per le traduzioni. Questa è fantastica : “Se hai bisogno di aiuto, or if your registrar ti raccomanda una soluzione diversa”
  • Provo a fare un post. L’editing è possibile sia in modo visuale che in Html. Bene.
  • Sono a disposizione gratis solo 50 mega di spazio per gli “allegati”. Blogger offre 1 giga ma di sole foto. Per i miei interessi lo considero un pareggio visto che uso quasi sempre imageshack.
  • Sembra che ci sia la possibilità di importare da blogger. Questa è una gran cosa.
  • Ed ecco il risultato : http://redonweb.wordpress.com/
  • Ma veniamo al punto principale. Avrà un template che mi piace ? Si !

Non toglieteci il vecchio Analytics !

E’ stata ufficialmente decisa la morte del vecchio Analytics. Cosi recita un avviso sull’homepage di Analytics

Benvenuto nella nuova versione di Google Analytics!
Tenga presente che la precedente interfaccia di Google Analytics non sarà più accessibile a partire dal 18 luglio.

No! Alcune funzioni accessibili con la vecchia interfaccia non sono disponibili nella nuova versione.
Non spegnete il vecchio Analytics.

  • Nel nuovo analytics non si possono scaricare completamente i dati dei rapporti: L’esportazione infatti esporta solo i dati visualizzati. Nonostante la quantità di dati visualizzati sia stata recentemente aumentata a 500 per alcuni report è ancora poco.
  • Manca 1 livello nella geolocalizzazione dei visitatori: Nel nuovo Analytics infatti si passa direttamente dalle nazioni alle città, ignorando i livelli regioni e provincie disponibili con la vecchia interfaccia.

Queste funzioni servono! La prima permette di trattare i dati in modo diverso da come le tratta Analytics, la seconda è indispensabile per verficare l’efficaca di campagne di comunicazione locali e regionale, ed è assurdo che in Adwords è possibile tragettizzare per province e in Analytics non è possibile fare lo stesso. Non erano due prodotti pensati per lavorare insieme?

Se avete notato altre mancanze/peggioramente, o anche solo se anche voi non volete che il vecchio Analytics venga spento, postate un commento. Se questa pagina raggiungerà una sufficente massa critica, verrà girata a Google Italia.
Le mancanze qua descritte sono già state segnalate, ma il peso di una segnalazione, seppur da un buon cliente, pesa meno di tante.

Il mantra

Da recitare ogni mattina:

Poiché il cliente ha un bisogno, noi abbiamo un lavoro da fare.
Poiché il cliente può scegliere, noi dobbiamo essere la scelta migliore.
Poiché il cliente ha una sensibilità, noi dobbiamo tenerla in considerazione.
Poiché il cliente ha un urgenza, noi dobbiamo essere veloci.
Poiché il cliente è unico, noi dobbiamo essere flessibili.
Poiché il cliente ha aspettative molto alte, noi dobbiamo eccellere.
Poiché il cliente è influente, noi abbiamo la speranza di nuovi clienti.
Grazie al cliente, noi esistiamo.

Anonimo.

Via MarketingBlog

Web 3.0

Web 3.0 ? Ma come ? il web 2 inizia a essere conosciuto e ri-conosciuto solo ora e si parla gia di Web 3?

Ovviamente l’innovazione corre, il pensiero su ciò che sarà è per sua natura libero dallo stato attuale delle cose. E cosi alcuni iniziano a parlare di progetti futuri. I temi caldi sono il web semantico, l’intelligenza artificiale, l’evoluzione di wikipedia e la conseguente ristrutturazione dei motori di ricerca.

Partiamo dai motori di ricerca. Quelli in stile Google sono 1.0, e per quanto vengano costantemente migliorati gli algoritmi di memorizzazione indicizzazione e ranking, rimarrano cosi finchè non sfrutteranno una forma di intelligenza. Artificiale o Umana che sia. Del.icio.us è gia molto piu vicino al 3.0. Di sicuro implementa tutti i dettami del 2.0 in quanto crea un network sociale, sfrutta in modo molto efficace la wisdom of crowds per creare un indice intelligente mediante i tag (un elemento caratteristico del web semantico). In particolare questi ultimi due punti sconfinano nella definizione del web3.

Wikipedia sarà la fine dei motori di ricerca classici, in primis Google?
Il web 3 promette di riorganizzare le informazioni in maniera molto piu logica di quanto google protrà mai fare (mai dire mai?). Il punto fondamentale è la differenza tra la comprensione umana e la comprensione da parte delle macchine. Per ridurre questa differenza, o si riesce a rendere la comprensione delle macchine piu simile al quelle degli uomini (vd Ontologia e AI in generale) o si sfrutta l’intelligenza collettiva di un network sociale (vd Wikipedia o Del.icio.us).
Questo approccio non deve necessariamente essere esclusivo. Se wikipedia riuscirà a modificare la sua base di dati in modo ontologico, ovvero trasformandosi da archivio ipertestuale della conoscenza umana a schema concettuale semi-senziente della stessa, diventerà la macchina-da-risposte definitiva.
Con semi-senziente intendo in grado di comprendere una domanda in linguaggio naturale fornendo una risposta personalizzata basata sulle unità atomiche di informazione memorizzate nel suo schema concettuale.

Detto questo temo che abbiamo tutto il tempo di sviluppare il concetto di web2 prima che siano realizzabili esperimenti completi di web3 (che non includono solo l’archiviazione semantica del contenuto ma anche la capacità di sfruttare questa cosa in modo efficace da parte delle macchine)

Approfondimenti:
Wisdom of Crowds
Wikipedia 3.0
Semantic Web
Ontology

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